10 tecnologie che hanno fallito: il motivo?
Tendenze tecnologiche

2025-10-05 00:40:45
Nel enorme settore della tecnologia, ogni visione porta con sé una serie di promesse di un futuro migliore, ma non tutte le innovazioni riescono a mantenere queste aspettative.
L’ultimo decennio è stato un terreno decisamente fertile per l’ambizione visto che decine, e decine, di aziende hanno provato a stravolgere il nostro quotidiano, ma non tute queste "brillanti idee" si sono trasformate in effettivi successi.
Vuoi per aver voluto anticipare troppo i tempi, vuoi perché queste idee non erano, effettivamente, così brillanti, nello scorso decennio abbiamo potuto assistere a decine di fallimenti clamorosi. Dagli occhiali smart ai visori VR, dalle console basata su Android ai succhi high-tech, eccovi dieci dei più colossali tech fail a cui abbiamo assistito negli scorsi anni.
L’invadente futuro dei Google Glass
Lanciati tra il 2013 e il 2015, i
Google Glass
si proponevano come una rivoluzione nel campo della realtà aumentata (AR). Erano occhiali smart con fotocamera, display proiettato sulla lente, comandi vocali e accesso a internet. Tuttavia, il loro destino fu segnato da problemi evidenti fin dal lancio:
il design era super invasivo e la privacy era una preoccupazione primaria
, poiché nessuno sapeva quando la videocamera registrava effettivamente.
Il prezzo, circa 1500 dollari, li rendeva un oggetto elitario e inaccessibile ai più. Dal punto di vista tecnologico, il prodotto era prematuro, con autonomia della batteria limitata, applicazioni scarse e usabilità molto bassa. Nel 2015, Google interruppe la commercializzazione per il pubblico consumer, riposizionandoli nell’ambito industriale con le versioni "Enterprise Edition".
Un fail che insegna che, quando la tecnologia non è ancora pronta e costringe a troppi compromessi, il
fallimento è assicurato
. È interessante notare come oggi, a distanza di anni dall’esperimento di Google, gli smart glass stiano diventando effettivamente "main-stream" grazie a una tecnologia più matura e a un design decisamente meno invasivo.
Il 3D non è roba da salotto
Tra il 2010 e il 2016, l’industria televisiva puntò tutto sulla tecnologia
3D per i televisori casalinghi
, spinta dall’enorme successo cinematografico di "Avatar" nel 2009. Il desiderio era di replicare l’esperienza cinematografica nel salotto di casa.
Quasi tutti i produttori principali,
Samsung, LG, Sony e Panasonic, lanciarono TV 3D con tecnologie attive, o passive
, complete di occhiali speciali e promozioni aggressive per spingere i consumatori a provare questa nuova, e apparentemente rivoluzionaria, tecnologia.
Nonostante l’entusiasmo iniziale, il fenomeno delle TV 3D si rivelò un clamoroso flop commerciale. I motivi furono molteplici ma i principali rimangono
la necessità di indossare occhiali speciali
, spesso fastidiosi, e un effetto 3D poco profondo che
affaticava gli occhi
.
Inoltre, vista la scarsa adozione da parte del pubblico di massa, c’era una
scarsità di contenuti
dedicati, con
pochissimi canali o Blu-ray che supportavano il formato
. A ciò si aggiunse la difficoltà di adattare il 3D alle normali abitudini domestiche, come guardare la TV in compagnia da diverse angolazioni (totalmente impossibile con la tecnologia 3D che richiedeva di visionare i contenuti frontalmente).
Già nel 2015-2016,
i brand ritirarono il supporto al 3D dalle nuove linee
, concentrandosi su 4K, HDR e Smart TV. La lezione qui è chiara: rivoluzionare un’abitudine radicata da anni richiede una
tecnologia priva di difetti
e che non richieda compromessi
, oltre a una reale disponibilità di contenuti.
L’equilibrio precario degli Hoverboard
Popolari tra il 2015 e il 2016, gli
hoverboard
promettevano un modo nuovo e futuristico di muoversi in città
. Tuttavia, il loro successo fu breve e turbolento. I problemi emersero quasi subito con l’arrivo di
centinaia di modelli economici importati dalla Cina
, privi di certificazioni di sicurezza, che iniziarono a causare
incendi ed esplosioni di batterie
.
Questo portò a
richiami di massa e divieti in aeroporti e spazi pubblici
. La guida richiedeva inoltre un equilibrio non indifferente e migliaia di utenti, spinti dalla apparente semplicità id utilizzo, finirono per farsi molto male, generando un costante flusso di articoli di cronaca che trattavano di incidenti con gli Hoverboard.
A queste problematiche si aggiunsero:
la mancanza di una normativa chiara per l’uso su suolo pubblico e l’assenza di un reale valore nell’uso quotidiano
. In pochi anni, l’Hoverboard si trasformò da fenomeno globale in un oggetto poco pratico e potenzialmente pericoloso, in gran parte sostituito dai monopattini elettrici, tutt’oggi adottati massivamente da milioni di persone.
Questo fallimento è attribuibile innanzitutto a una tecnologia con
troppi problematiche, dopodiché indubbiamente le norme d’uso poco chiare
hanno fatto il resto. Il grande pregio degli Hoverboard, però, è stato quell odi spianare la via proprio ai monopattini elettrici accennati poc’anzi, molto più pratici e, per certi versi, sicuri.
La fallimentare crypto di Facebook
Nel giugno 2019, Facebook annunciò con grande clamore il progetto
Libra
,
una criptovaluta globale pensata per semplificare i pagamenti digitali
e favorire l’inclusione finanziaria, specie nei paesi in via di sviluppo.
Prevedeva una "stablecoin" supportata da valute tradizionali e titoli di stato, gestita da un consorzio chiamato Libra Association,
con giganti come Visa e Mastercard
. Tuttavia, il progetto incontrò una forte opposizione da parte di governi e dei regolatori finanziari di tutto il mondo, preoccupati per le implicazioni sulla sovranità monetaria e sulla stabilità finanziaria.
Molti partner iniziali abbandonarono l’iniziativa
, e nel dicembre 2020, in un disperato tentativo di rilancio,
Libra fu ribattezzata Diem
. Nonostante il rebranding e gli sforzi per ottenere approvazioni, le pressioni continuarono,
portando la Diem Association ad annunciare la vendita degli asset e la chiusura del progetto nel gennaio 2022
.
La causa principale del fallimento è legata a un
periodo generalmente ancora poco maturo per le criptovalute
, tutt’ora non pienamente riconosciute a livello globale come una vera alternativa alle monete tradizionali; cambiare qualcosa di così radicale richiede molto tempo, altrettanti fallimenti e ingenti investimenti che Meta, a quanto pare, non era intenzionata a sostenere.
Un metaverso ancora troppo visionario
Anche se non ancora ufficialmente "fallito", il
Metaverso
, così come immaginato da Zuckerberg nel 2021 con la trasformazione di Facebook in Meta, è stato inserito in questa classifica per la sua inattuabilità attuale.
Doveva rappresentare
la prossima evoluzione di internet: un universo digitale persistente, tridimensionale e immersivo
in cui lavorare, socializzare, giocare e fare acquisti. L’investimento iniziale fu mastodontico, con decine di miliardi di dollari impiegati nello sviluppo di visori VR, software e piattaforme come Horizon Worlds.
Tuttavia, a distanza di anni, la realtà si è rivelata ben diversa dalle aspettative.
I problemi sono numerosi: la tecnologia dei visori è ancora acerba
, sono scomodi e costosi, la grafica è poco realistica, e gli ambienti digitali sono spesso semideserti, con una
mancanza di veri casi d’uso concreti
per la maggior parte degli utenti.
Anche i tentativi di renderlo attraente per le aziende, sfruttando
la possibilità di tenere riunioni o allestire showroom virtuali
, hanno avuto un impatto estremamente limitato. Nonostante Meta continui a investire, e conseguentemente perdere miliardi, l’interesse del pubblico, e degli sviluppatori, nei confronti del progetto "Metaverso", è calato drasticamente, oscurato da nuove tendenze come l’intelligenza artificiale generativa.
Il Metaverso potrebbe diventare una realtà se e solo quando
la tecnologia per accedervi sarà talmente matura da essere "di uso comune"
, e quel momento, purtroppo o per fortuna, è ancora lontano anni.
Quando Google Stadia anticipò il futuro
Lanciato da Google nel novembre 2019 e spento nel 2023,
Stadia
era un servizio di cloud gaming
che prometteva di rivoluzionare il modo di giocare: nessuna console o PC potente, solo una connessione internet decente e un controller per giocare in streaming a titoli AAA su qualsiasi dispositivo.
L’idea non era affatto male, poiché
il cloud gaming non era una novità e Stadia mirava a facilitarne l’accesso
. Tuttavia, l’esecuzione fu problematica fin dall’inizio. Il
modello di business confuse molti utenti, che, oltre a pagare un abbonamento, dovevano acquistare i singoli giochi
, spesso a prezzo pieno.
A ciò si aggiunsero
problemi tecnici legati soprattutto alla latenza, una libreria di giochi limitata e la mancanza di esclusive realmente trainanti
. Google non riuscì a conquistare la fiducia né del pubblico, né degli sviluppatori, tanto che nel 2021 chiuse lo studio interno creato per i suoi titoli esclusivi e nel 2022 annunciò la chiusura ufficiale di Stadia, completata nel 2023 con tanto di rimborso totale di tutti i soldi spesi dagli utenti.
Il fallimento di Stadia è un esempio di una
ottima idea eseguita male
; oggi il cloud gaming sta guadagnando terreno, motivo per il quale la visione di Stadia era corretta, ma esser ei pionieri di una rivoluzione, comporta non solo un progetto a lungo termine, che comprenda potenziali fallimenti e cambi di rotta, ma soprattutto l’obbligo di presentarsi al pubblico con un servizio che, anche se inizialmente limitato nelle funzionalità, sia totalmente privo di difetti.
Google, invece, fece l’opposto.
Bombardò di promesse i suoi potenziali clienti, offrì un servizio, inizialmente, ridotto e con alcuni problemi tecnici e, non appena il nome Stadia stava diventando una realtà nel settore videoludico, ha tirato i remi in barca, limitandosi a spianare la strada ai suoi competitor.
NFT… serve aggiungere altro?
Gli
NFT
(Non-Fungible Token)
sono stati una delle mode più esplosive dell’ultimo decennio
, promettendo di rivoluzionare il mondo dell’arte e del collezionismo. Tra il 2020 e il 2022,
il mercato degli NFT era al suo apice: opere digitali vendute per milioni di dollari
, avatar pixelati divenuti status symbol e interi ecosistemi di giochi, e community, costruiti attorno a questi token.
Il problema fu la rapida saturazione del mercato, con
migliaia di progetti rivelatisi speculativi o addirittura delle vere e proprie truffe
. La maggior parte degli NFT
ha perso oltre il 90% del proprio valore
nel giro di pochi mesi.
A questo si aggiunsero le numerose critiche sull’impatto ambientale delle blockchain Proof-of-Work e
sull’utilità effettiva di oggetti digitali che, pur essendo unici su carta, potevano essere copiati da chiunque
. Oggi il mercato NFT sopravvive in alcune nicchie
, come il gaming o la certificazione digitale
, ma la
bolla è ormai esplosa
.
Per molti,
gli NFT sono diventati il simbolo della speculazione digitale senza sostanza
, una corsa all’oro moderna, e totalmente improvvisata, in cui pochi hanno guadagnato e tantissimi hanno perso. Sono falliti perché erano
vere e proprie speculazioni
e, soprattutto, perché l’utenza non è ancora pronta ad accettare che, nell’era digitale, tutto, persino un’opera d’arte, è "intangibile".
Lo smartphone di Amazon
Nel giugno 2014, Amazon lanciò il suo primo (e unico) smartphone, il
Fire Phone
. Concepito per un’integrazione profonda con i servizi Amazon, era dotato di tecnologie innovative, come
una soluzione 3D che utilizzava quattro fotocamere frontali
per tracciare i movimenti della testa dell’utente e un sistema di riconoscimento oggetti/media per facilitare gli acquisti su Amazon.
Tuttavia, il suo fallimento fu rapido. I
l telefono costava troppo per le sue specifiche
(199 dollari upfront con contratto), molto più di altri smartphone. Era basato su
FireOS, una versione modificata di Android
che inizialmente non poteva accedere al Google Store, limitando significativamente la disponibilità di applicazioni.
Era disponibile solo tramite operatore, e le sue "tecnologie innovative"
furono considerate dei semplici "gingilli" non particolarmente utili.
A causa delle vendite deludenti, il prezzo fu rapidamente ridotto, ma non bastò a cambiarne le sorti, e il Fire Phone fu ufficialmente ritirato dal mercato nel settembre 2015.
Il motivo del fallimento è chiaro:
non basta chiamarsi Amazon e mettere il proprio logo su un prodotto per venderlo
; anche un’azienda enorme com quella di Bezos, deve offrire un valore reale ai consumatori per poter avere successo.
Un box Android non può sostituire le console
Presentata nel 2013,
Ouya
era una console da salotto basata su Android
, frutto di una campagna Kickstarter che raccolse 8,5 milioni di dollari. Prometteva di portare i videogiochi sulla TV a un prezzo modico di 99 dollari e, effettivamente, lo fece, ma con prestazioni deludenti, lag nei comandi, un’interfaccia poco intuitiva e un controller poco ergonomico.
Il catalogo dei giochi era composto principalmente da titoli mobile già disponibili su smartphone
, con poche esclusive di rilievo. L’idea di un ecosistema aperto si scontrò con una base utenti poco propensa a spendere, rendendo difficile per gli sviluppatori monetizzare le proprie creazioni.
Nel 2015,
Razer acquisì le risorse software di Ouya
, ma la console fu ufficialmente dismessa e i server spenti nel giugno 2019, rendendo inutilizzabili molti giochi. Il fallimento di Ouya dimostra, ancora una volta, quanto il gaming mobile sia un settore redditizio proprio perché fruibile da un device che "abbiamo comunque sempre in tasca".
Promettere troppo, a troppo poco,
e proporre tanti, forse troppi, compromessi, non farà cambiare idea a chi "gioca in salotto" e il risultato è stato un enorme buco nell’acqua e una delusione generale da parte degli "early adopters".
Juicero, il prodotto che nessuno voleva
Juicero
, una startup californiana fondata nel 2013, si proponeva di rivoluzionare il mondo dei succhi freschi con un approccio high-tech. Il suo prodotto di punta, l
a Juicero Press, era uno spremiagrumi da ben 699 dollari
(poi ridotto a 399 dollari), progettato per spremere bustine monodose di frutta e verdura pre-tagliata vendute in abbonamento.
Ogni bustina aveva un codice QR che la macchina doveva scansionare e validare online prima dell’uso
. Nonostante l’azienda avesse raccolto circa 120 milioni di dollari da investitori di alto profilo, divenne rapidamente oggetto di scherno per il suo funzionamento assurdo.
Nel 2017, un’inchiesta di Bloomberg dimostrò che
le bustine potevano essere spremute a mano con risultati simili
, rendendo superflua la costosa macchina. Questo scatenò una tempesta mediatica che mise in discussione l’intero modello di business dell’azienda. Il dispositivo era inoltre considerato eccessivamente complesso, con
oltre 400 componenti personalizzati,
molti dei quali ridondanti per una semplice funzione di spremitura.
Le vendite deludenti, gli elevati costi di produzione e una gestione inefficiente portarono
Juicero a chiudere le operazioni nel settembre 2017
, appena un anno e mezzo dopo il lancio. Il motivo del fallimento è lampante: era un
prodotto di cui nessuno aveva veramente bisogno, con un sistema di monetizzazione aggressivo e privo di un reale valore
. Come sottolineato nei documenti che trattano di Juicero, reinventare la "matita", quando già si può scrivere tranquillamente con una normale, non serve a nessuno.
In conclusione, questi dieci fallimenti tecnologici ci offrono una serie di preziose lezioni. Spesso,
il problema non è l’idea alla base e nemmeno la visione che si cela dietro di essa
… sono l’esecuzione, il prezzo, la maturità della tecnologia, la mancanza di un reale bisogno del consumatore o l’incapacità di superare ostacoli regolamentari e culturali a decretare il fallimento di un’idea che, potenzialmente, potrebbe essere geniale.
In collaborazione con Tom’s Hardware
