Ricercatori brillanti senza supporto: il caso del bando Marie Curie
ricerca scientifica

2025-06-02 07:30:51
Maria Salomea Skłodowska-Curie, meglio nota comunemente con il nome di
Marie Curie
, è stata la prima donna insignita del premio Nobel nel1903. Fisica, chimica e matematica polacca naturalizzata francese, è un riferimento fondamentale per tutto il mondo della ricerca, in particolare per i giovani ricercatori europei. Per loro è una speranza!
Infatti, una delle iniziative più interessanti dell’Unione Europea è il programma di
borse
intitolate a Marie Curie (MSCA)
, pensato per sostenere la formazione e la carriera dei giovani ricercatori, incentivando la mobilità internazionale e intersettoriale. Non solo nelle scienze dure, proprie della grande scienziata, ma in tutti gli ambiti del sapere, comprese le scienze umanistiche. Le MSCA offrono diverse tipologie di borse, tra cui le Individual Fellowships (IF), le Innovative Training Networks (ITN) e le Research and Innovation Staff Exchange (RISE).
Diciamolo subito: è assai difficile ottenere una borsa Marie Curie! Bisogna avere un ottimo curriculum e un progetto innovativo, valutato in maniera rigorosa da valutatori severissimi. Tra i vincitori ci sono anche non pochi ricercatori italiani, che normalmente, dopo essersi formati nelle nostre università (che evidentemente così male non solo per produrre bravi laureati e dottori di ricerca) vanno a svolgere le loro ricerche all’estero.
Con i fondi del PNRR il Ministero dell’Università e della Ricerca ha offerto tre anni fa un’opportunità (
Avviso 247, MSCA PNRR Young Researchers
) a ricercatori che avessero concluso il progetto Marie Curie da meno di due anni e avessero discusso la tesi da meno di 10 anni (ovviamente con possibili estensioni per maternità o malattia) per rientrare in Italia. I vincitori di tale bando hanno ottenuto una posizione di ricercatore a tempo determinato (RTDA) con una dote di 300.000 euro, con la quale di fatto pagarsi lo stipendio e portare avanti un progetto in continuità con la borsa Marie Curie e con l’obbligo di sottomettere un progetto
all’European Research Council (ERC
): un’iniziativa lodevole che ha consentito ai ricercatori di proseguire le attività di studio, alle università italiane di rafforzare la propria capacità di ricerca con energie giovani dal profilo internazionale, all’Italia di incentivare l’accesso ai fondi europei.
Il bando prevedeva duecento posti ma solo ottanta vengono selezionati (pur essendoci le risorse stanziate dall’Unione Europea anche per gli altri centoventi ricercatori, restano inutilizzati). Inoltre, si estende la possibilità anche a quei ricercatori che pur avendo ottenuto una valutazione alta nel bando Marie Curie e il cosiddetto Seal of Excellence, non avevano avuto accesso al finanziamento. Il numero di ricercatori italiani così cresce ulteriormente.
I ricercatori italiani all’estero, spesso da molti anni, attratti dalla possibilità di rientrare e di essere integrati nel sistema universitario italiano (con la speranza della stabilizzazione che allora si fa trapelare), partecipano numerosi. Nonostante il successo, risulta alto il tasso di abbandono a causa delle difficoltà che comporta lavorare in condizioni non facili, soprattutto per l’assurdo carico burocratico che queste procedure prevedono: linee guida per la rendicontazione dei fondi giunte mesi dopo la presa di servizio, l’impossibilità a partecipare ad altri bandi competitivi, lil divieto di rimodulare i budget di ricerca, concepiti inizialmente in assenza delle linee guida di rendicontazione. I ricercatori si rimboccano le maniche e in questi anni svolgono le loro ricerche, ma non si sottraggono anche agli obblighi di didattica, assumono deleghe, responsabilità varie, seguono tesi, ecc.; insomma sono integrati nella normale vita universitaria, ora sempre più gravata da obblighi amministrativi e organizzativi, anche per i giovani ricercatori, che dovrebbero in realtà dedicare gli anni più produttivi e creativi solo alla ricerca. E diciamolo: tanto giovani non sono più!
Pochi sono stati i ricercatori, in particolare nei settori scientifico-tecnologici, con più possibilità di accedere a fondi esterni, a essere stabilizzati finora vincendo concorsi di ricercatore o professore. Alcuni hanno abbandonato definitivamente, altri hanno preferito tornare all’estero.
Degli ottanta ricercatori iniziali, ne restano circa trentacinque, molti dei quali concentrati in pochi atenei, tra Padova, Firenze e Venezia. Fra circa cinque mesi questi progetti scadranno. Che fine faranno questi ricercatori a dicembre 2025? Per non parlare anche delle migliaia di altri ricercatori assunti con i vari progetti PNRR, tra Partenariati Esteri, Centri Nazionali, ecc. Molto probabilmente si sentiranno dire: grazie (e forse non sempre!), è stato un piacere, tornatevene all’estero o cambiate mestiere!
In particolare, i ricercatori Marie Curie hanno vinto bandi competitivi, hanno avuto lunghe esperienze all’estero, hanno portato in dote anche un grande contributo finanziario. Molti di loro hanno acquisito l’abilitazione scientifica nazionale di prima o seconda fascia, hanno pubblicato contributi scientifici importanti, hanno dato impulso all’internazionalizzazione, uno dei punti deboli del sistema universitario italiano.
Il problema è che anche solo per rinnovare i loro contratti per un altro biennio (che almeno consentirebbe di disporre di altro tempo per cercare soluzioni più stabili, magari anche grazie ai progetti ERC ai quali si sono candidati) le università devono utilizzare fondi di altri progetti, altrimenti anche tali rinnovi entrano nel calcolo delle spese di personale, che ha limiti non superabili. Mi scuso per tali tecnicismi incomprensibili per chi non vive nell’Università, ma è bene che si capisca in che strano sistema si opera, anche quando si tratta di avvalersi del contributo di giovani ricercatori eccellenti.
L’Italia continua ad essere un paese che non crede nella ricerca e nell’alta formazione e, al di là della insopportabile retorica (il rientro dei cervelli e altre formule buone per gettare fumo), poco fa per le sue energie migliori.
Ministra Anna Maria Bernini cosa si può fare?
