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Per Bibbiano, noi assistenti sociali: ladri di bambini? Non siamo spezzati

notizia

2025-08-27 17:43:30

Oggi è stato messo un primo punto in una vicenda che ha avuto un impatto profondo, non solo su chi era direttamente coinvolto, ma sull’intera comunità professionale delle e degli assistenti sociali, e più in generale sul rapporto tra cittadini e istituzioni.

Ci sono eventi che segnano la vita delle persone – ognuna, ognuno, conosce il suo, i suoi – e ce ne sono anche alcuni che restano indelebili nel percorso di un Ordine professionale, di una comunità professionale. Noi, assistenti sociali, in questi ultimi non facili anni, pensando a quelli pubblici e non a quelli del quotidiano lavorativo di ciascuno di noi, ne abbiamo alcuni che ricordiamo con orgoglio – il riconoscimento del nostro valore in diretta tv a reti unificate mentre imperversava il Covid, la sfilata del 2 giugno 2022, la dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione del 30° anniversario della legge istitutiva dell’Ordine degli assistenti sociali, la medaglia d’oro al merito per l’impegno durante la pandemia…- e poi ne abbiamo uno che non si esaurisce in una data, ma che ci ha coinvolti e travolti dalla primavera-estate del 2019 in poi.

Il caso Bibbiano di cui oggi torniamo a parlare perché la sentenza di primo grado condanna due assistenti sociali e ne assolve tre.

Poco più di sei anni fa siamo stati coinvolti e travolti, ma non piegati. Nonostante le tonnellate di carta di giornali, settimanali, mensili; nonostante i programmi tv condotti da giornaliste/i famose/i trasformate/i in pubblica accusa; nonostante esibizioni di politici usate per rubare qualche voto a chi, qualche anno dopo sarebbe diventato un alleato di esecutivo; nonostante le sfilate in terra emiliana di futuri ministri e capi di governo…

Nonostante… perché eravamo, siamo e saremo, davvero e nonostante quello che è stato detto e scritto, una comunità di oltre 48mila professioniste/i impegnata ogni giorno a fianco di chi da sola/o e per le ragioni più diverse non ha accesso ai diritti garantiti dalla nostra Costituzione.

Nella primavera-estate del 2019, da allora ad oggi e domani se continuerà a servire, ripetemmo, ripetiamo, ripeteremo che nessun errore o colpevolezza riconosciuta da un tribunale di un singolo assistente sociale, può intaccare il valore della nostra professione.

Ma cosa deve fare un Ordine professionale di fronte a un evento del genere? Allora come oggi, abbiamo tutto fatto quello che dovevamo? Abbiamo dimenticato qualcosa o qualcuno? Ci sia siamo sbagliati? Ce lo siamo domandati allora e continuiamo a chiederci come dovevamo reagire quando media e politica – non tutti, ma una percentuale molto alta – ripetevano con ogni mezzo a loro disposizione che le e gli assistenti sociali erano “ladre/i di bambini”, che agivano per il loro interesse personale, che avevano della famiglia un’idea distorta…ad essere gentili!

Allora come oggi non ci siamo mai nascosti – presidenze diverse, ma stessa linea – abbiamo parlato nelle trasmissioni più scomode ripetendo che ci saremmo affidati alla Giustizia, quella dei tribunali che, certo può anche sbagliare, ma è l’unica a cui possiamo affidarci.

La Giustizia, i tribunali che giudicano i singoli – e ogni singolo, chiunque esso sia e qualsiasi lavoro faccia, può anche essere colpevole – non una comunità di professionisti. Quella comunità che fa il nostro Ordine, quella comunità che come Consiglio Nazionale abbiamo il compito di promuovere e difendere ad ogni costo, quella comunità valorosa e indispensabile.

Quando, in un clima molto acceso e condizionato da una forte pressione mediatica, il Consiglio Nazionale decise, dopo una attenta valutazione, di costituirsi parte civile – e una dei due condannati secondo la sentenza di oggi dovrà risarcire anche il Cnoas per le spese processuali sostenute – lo fece con uno scopo preciso: difendere la dignità e la credibilità della professione, non emettere un giudizio anticipato, né prendere le distanze da colleghi ancora sotto indagine. Lo abbiamo detto allora e lo ribadiamo oggi.

Fu una scelta sofferta, criticata da alcuni, ma compiuta per affermare che la giustizia andava lasciata lavorare, e che nessuna accusa poteva essere usata come pretesto per delegittimare un intero corpo professionale togliendo ad ogni assistente sociale il diritto a un contesto di esercizio fondato sulla legalità, sul riconoscimento e sulla fiducia pubblica.

Oggi, con il pronunciamento del Tribunale, non festeggiamo né prendiamo le distanze. Prendiamo atto. A chi, in questi anni, ha strumentalizzato il caso di Bibbiano per delegittimare il nostro lavoro, diciamo che le scorciatoie ideologiche e gli attacchi generalizzati non fanno bene a nessuno, soprattutto alle persone che si rivolgono ai servizi per essere aiutate.

Alla politica, alle istituzioni e all’opinione pubblica chiediamo di distinguere tra responsabilità individuali – che vanno perseguite – e una professione che ogni giorno, spesso in silenzio, garantisce diritti e coesione sociale.

Questo è il tempo della responsabilità, non delle semplificazioni. E noi, come Ordine, continueremo a prenderci questa responsabilità fino in fondo.

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