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Biancorossi da batticuore: La prima volta in Serie B, Sacchi e i trionfi di Bellavista. Il gol più atteso: il nuovo stadio

Italia

2026-07-03 08:07:33

È una storia d’amore controversa e proprio per questo affascinante quella tra Rimini e il pallone. Più salite che discese… Più pugni nello stomaco che bagni nella fontana dei Quattro Cavalli. Ma anche momenti e persone scolpite nella memoria. Il Rimini del mago Helenio Herrera. Quello del profeta Arrigo Sacchi. E di Osvaldo Bagnoli. Il Rimini che ha lanciato i suoi ’figli’ riminesi Sergio Santarini, Igor Protti, Andrea Tentoni e Matteo Brighi. O quello che ha spalancato le porte della serie A a decine di campioni. Da Handanovic a Matri, da Floccari a Ricchiuti. Tutti – o quasi – arrivati in piazzale del Popolo da perfetti sconosciuti, per poi lasciarlo da campioni.

La prima volta del Rimini in serie C, dopo l’epoca Libertas, è datata 1939, ben 86 anni fa. La prima volta in B quasi 40 anni dopo, nel 1976. Il presidente Gaspari al timone con la promessa, poi mantenuta, di tagliare grandi traguardi. Mister Meucci e i suoi ragazzi obbediscono toccando il punto più alto della storia biancorossa. Meucci la conquista (e poi anche con mister Bruno in panchina i biancorossi ritorneranno in cadetteria), Herrera e Bagnoli fanno sì che possa restare al sicuro. Il mago incanta i tifosi, con il supporto prezioso di mister Becchetti. Arriva a Rimini con una Mini targata Roma. Dal grande calcio alla provincia, da San Siro e Olimpico… al ’Romeo Neri’. E per prima cosa ordina 30 palloni nuovi: quelli che c’erano, e che aveva fatto rimbalzare a uno a uno, sono a suo dire tutti sgonfi. Uno così, del suo carisma, non può non piacere ai riminesi. Proprio come Sacchi da Fusignano. Un outsider, allora. Che per di più arriva dalla Primavera del Cesena con la quale aveva vinto il campionato. Il presidente Cappelli non vuole sentire ragioni: è l’uomo giusto. Ha ragione lui. Da lì spicca il volo diventando l’uomo che rivoluziona il calcio mondiale. E il Rimini, invece, resta incastrato per ben 23 anni in purgatorio. Nel 2005 il terzo picco di gloria. Nell’era Bellavista. È ancora serie B, agli ordini di Leo Acori. E profuma pure di serie A. In quel campionato giocano Juventus, Napoli, Genoa. Ai tifosi pare arrivato il tanto atteso momento di gloria. Tra campioni e l’ipotesi, poi svanita, di avere uno stadio nuovo e degno di questo nome. Nel 2007 poi la morte, improvvisa e dolorosa, del presidente Bellavista, interrompe quel sogno a occhi aperti. Ma quegli istanti non si cancellano perché portano la maglia a scacchi a essere la regina della Romagna. Al ’Neri’ si respira aria di calcio vero. Le trattative di mercato fanno arrivare in Riviera il meglio che si possa trovare in cadetteria. E lo stadio si riempie senza il bisogno di imbastire nessuna clamorosa campagna di comunicazione.

Tutto bellissimo fino a quando si ritorna, inevtabilmente, sulle montagne russe. Tra fallimenti, collette e ripartenze. Un film già visto, ma sempre da vivere. Un film che conosce bene Matteo Brighi, ’gioiello’ dell’era Bellavista. Ceduto alla Juventus dopo un lungo corteggiamento, per il quale si scomoda anche un certo Luciano Moggi, avvistato più volte in piazzale del Popolo. Mateo non è uno di quelli che si lascia convincere facilmente: ha 17 anni e prima c’è il diploma in ragioneria al ’Valturio’ da mettere in tasca. "Se sono forte e mi vogliono davvero aspetteranno un anno", dice spiazzando tutti. La Juve aspetta. Brighi, con il diploma al sicuro, prepara la valigia. E parte piombando in fretta ai piani alti. Prima Juve, poi Bologna, Roma e tante altre squadre di serie A. Quei piani alti dove il Rimini sogna, prima o poi, di arrivare. Ma il gol più desiderato resta il nuovo stadio: un ’Romeo Neri’ all’altezza del grande amore dei riminesi per il calcio.

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