Connect with us

Lezione di Borges: La fantasia che genera la tecnologia

tecnologia

2026-01-04 22:10:09

Questo articolo è uscito nella newsletter di scienza e innovazione tecnologica

One More Thing

di Massimo Sideri.
Per iscriversi cliccare qui
.

Ne "Le lezioni americane" che Italo Calvino non riuscì a tenere esattamente 40 anni fa all’Università di Harvard, lo scrittore cubano-sanremese ricordava come Dante avesse descritto la "fantasia come un posto dove ci piove dentro".

La fantasia è carsica, permeabile, una spugna che assorbe. Se fosse idrorepellente sarebbe solo dogma. Inscalfibile.

La fantasia è stata oggetto di tante analisi ma forse la più coraggiosa, a partire dal titolo, è quella di

Gianni Rodari

, che tanto non perdeva tempo con noi adulti puntando sui più recettivi studenti e studentesse delle scuole: mi riferisco a "La grammatica della fantasia". Ma come? Esistono delle regole anche per la fantasia? Non è un ossimoro? Rodari ricorda nella prefazione al libro che Novalis (1772-1801) appuntava: "Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare". Forse lui con quel testo ne ha posto le basi.


In questi giorni leggendo altri frammenti, quelli di Jorge Luis Borges, ho trovato un altro passaggio capace di aprire e scardinare i portoni dei mondi: dice Borges, parlando del suo incontro tardivo con la "Divina Commedia", che Dante descrive una fantasia molto dettagliata.

La fantasia è anche pignola. Per certi versi, me ne prendo la responsabilità, forse l’opera di Dante è anche il capostipite della fantascienza. Anche se a persarci bene anche i miti dell’antica Grecia non erano anch’essi una sorta di fantascienza? I robot nascono sotto forma di tripodi meccanici con Omero ancor prima di comparire con tanto di neologisco nell’opera "R.U.R." di Capek all’inizio del Novecento.


Forse è questa ricerca del dettaglio (una sorta di ansia di credibilità della fantasia) che fa sì che la fantasia riesca talvolta anche ad anticipare o a colonizzare il futuro.

Facciamo un esempio: non sembriamo tutti vittime di un fenomeno di illusione di massa a vedere quanti frammenti, collegamenti, connessioni e fili stanno emergendo per intrecciare due mondi così distanti come l’intelligenza artificiale da una parte e le suggestioni letterarie e saggistiche del Novecento dall’altra?

È noto che il padre naturale dell’AI sia stato

Alan Turing

.

Si è posto difatti la domanda del nuovo secolo (il nostro): le macchine possono pensare?

Ma a consumare il tempo in un esercizio di resilienza analogica (sfogliare vecchi libri) c’è da rimanere in effetti colpiti dalla quantità di suggestioni e anticipazioni che hanno riempito le giornate di grandi scrittori e letterati. Primo fra tutti (ma non unico) Calvino stesso che già negli anni Sessanta teneva delle conferenze internazionali sull’allora esplosiva primavera dell’AI. Consiglio di leggere (studiare) il saggio "Cibernetica e fantasmi" dove Calvino anticipava l’arrivo di una macchina scrivente (non da scrivere) come evoluzione dell’informatica.

Una macchina capace di scrivere versi testi al suo posto. Oggi la chiamiamo ChatGPT ma solo perché non siamo stati abbastanza veloci nel battezzarla CalvinoGPT.

Leggere per credere.

Per chi volesse approfondire l’origine di questa apparente (o presumibile) illusione, il festival di Taormina – che ho potuto frequentare in questi anni – si pone come un naturale luogo di antropologia inversa per la sua unicità: provate ad ascoltare grandi scrittori (purtroppo scomparsi) come Paul Auster che legge dei passaggi di un capolavoro come "4321" per poi ritrovarvi a dialogare con un altro gigante, in questo caso della saggistica scientifica, come David Quammen (se vi state domandando cos’è il privilegio in una società dell’abbondanza dei beni come quella in cui viviamo la risposta, almeno per me, è godere di queste brevi deformazioni di rette apparentemente parallele, la loro e la mia vita, che, per la geometria euclidea, non dovrebbero mai incontrarsi e che invece per un attimo diventano tangenti).

Parlo di antropologia inversa perché è proprio lasciando i propri confini (limiti) personali che si entra in momenti di riflessione sul nostro cammino e che ci si pone delle domande, massima espressione dell’intelletto umano.

In questo caso la domanda è se non siamo noi ad avere creato scatole non comunicanti, tra cultura umanistica e scientifica, impedendoci di capire meglio il mondo fatto anche di geometrie non euclidee.

Come anticipato Calvino non fu l’unico "contemporaneo del futuro" come lo abbiamo definito io e Andrea Prencipe nei nostri libri. Primo Levi è un altro caso forse meno noto ma per certi versi più impressionante:

scrisse il "Versificatore", racconto in cui immaginava che le macchine potranno aiutare i poeti a scrivere versi, semplicemente immettendo le caratteristiche preferite: endecasillabi, componimento breve, argomento: "il lavoro del futuro".

Quello che oggi chiamiamo prompt, la richiesta. Sul suo soggetto venne anche girato un mini-film dalla Rai che oggi potete trovare su YouTube. Qui è interessante aprire una piccola parentesi: Calvino era l’editor per l’Einaudi di Levi. Scrisse lui, probabilmente, la biografia sulla terza di copertina, sottolineando che Levi, già famoso per "Se questo è un uomo", era un "chimico". Un particolare che per Calvino – che si considerava la pecora nera della propria famiglia per non averne seguito le pulsioni scientifiche – era molto importante. Per tutta la vita lo scrittore che era nato a Cuba ma si divertiva a spacciarsi per sanremese (una allucinazione?) si dedicò alla lettura di riviste scientifiche che daranno poi vita in particolare alle Cosmicomiche, tentativo di affrancare la fantascienza dagli schemi in cui era ricaduta. Dunque, scienza e letteratura. Insieme. Non potremmo ipotizzare che facciano parte entrambe di quella ricetta che porta allo sviluppo di tecnologie? Allora ecco un altro esempio. Meno visibile eppure concreto:

passiamo a Borges e alla sua "Biblioteca di Babele" che contiene tutti i libri possibili, infiniti, che si possono ottenere dalla combinazione di 25 simboli (lettere più una punteggiatura scarnificata).

In altre parole: un algoritmo che combini le lettere come fossero numeri, combinazioni.

Vi ricorda qualcosa? Come era possibile che la stessa suggestione tornasse in autori così distanti? (Anche se è vero come Calvino incontrò Borges. Lo scrittore argentino teneva strette relazioni con l’Italia che, allora, piccola nota malinconica, era considerata ancora uno dei centri più luminosi della letteratura). A rileggere sempre quei vecchi libri si scopre che il dibattito sulla scrittura come arte combinatoria era internazionale. In particolare, oltre ai matematici russi se ne occupò l’Oulipo, l’Officina delle letterature potenziali (oggi diremmo

letterature algoritmiche

), in cui oltre che Calvino militava Raymond Queneau (non a caso autore di "Centomila miliardi di poesie"). La storia dell’umanità come ricombinazione infinita sempre della stessa trama. Non a caso un altro amante delle domande faceva dire al vecchio frate cieco de "Il Nome della Rosa" (Borgus, chiaro riferimento a Borges) che il compito delle biblioteche era preservare la conoscenza. Non diffonderla.

Insomma, quelle tracce e quei frammenti di cibernetica e GPT ante litteram non sono un caso di illusione di massa ma l’output di precisi input che il dibattito si diede al tempo. E che i letterati accettarono.

È forse questa la vera considerazione su cui soffermarsi: lo scomparso padre del Basic, Thomas Kurtz, aveva l’obiettivo di rendere le macchine accessibili a filosofi, umanisti, artisti grazie a un linguaggio semplice che nascondesse i codici dietro comuni lemmi dell’inglese, come THEN.

Quanto di quella promessa è stata mantenuta? Quanti umanisti (e quanti scienziati dall’altra parte dello specchio) oggi sono pronti ad accettare la sfida di ri-dare libertà di forma al nuovo mondo della conoscenza che fuoriuscirà da chi vuole colonizzare il nostro futuro e la nostra fantasia? Gli atti di resilienza analogica sono anche straordinari atti di resistenza sociale. Forse l’algoritmo della conoscenza è anche questo.


A risolvere il dilemma ci riuscì forse solo Galileo Galilei

che pure Calvino considerava il più grande scrittore in prosa della lingua italiana: la natura usa il linguaggio della matematica. Ecco che tutto si svela circolare.

Click to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *