Balenciaga Issue 54: A Fashion Farewell Like No Other
moda e stile

2026-02-18 18:39:30
“I gave you all the love I got…”
Così inizia
No Ordinary Love
di Sade, e così inizia anche la
Couture numero 54 di Balenciaga
. Prima le voci — un elenco di nomi recitati con tenerezza e gratitudine — poi le note familiari della canzone, che sembrano farsi trampolino emotivo.
Se fosse solo un addio, sarebbe retorico. Invece è una dedica: un gesto intimo, quasi sussurrato, in cui
Demna
restituisce la parola. Non l’autore solitario, ma il coro di chi ha contribuito a questi dieci anni di Balenciaga. Demna si sottrae, e nel sottrarsi riafferma l’essenza più intima della couture: il dialogo tra chi crea e chi indossa, tra forma e vita.
La collezione esordisce con un’esplorazione coraggiosa del concetto di borghesia, che diventa quasi gotico. Spalle scolpite, colli monumentali che evocano silhouette Nosferatu, lapels a tulipano che incorniciano volti come preziose reliquie. È una bellezza ambivalente, che oscilla tra protezione e costrizione, potere e vulnerabilità. Qui la couture diventa linguaggio di controllo ma anche mezzo per sfidarlo, liberarlo. Il corpo, inizialmente imprigionato, cerca e trova le sue vie di fuga.
C’è un senso di alleggerimento progressivo, quasi una liberazione. Il bomber di seta tecnica sfiora l’impalpabilità. Il car coat è il più lieve mai realizzato. Il blouson da businessman, in taffetà estivo, ridefinisce l’abbigliamento maschile come gesto tecnico. Il puffer coat non ha cuciture laterali: è un monolite morbido, ingegnerizzato per fluttuare. Persino il corduroy, emblema borghese per eccellenza, viene scomposto e riscritto: 300 chilometri di ricamo creano un pantalone trompe-l’œil, il primo “velluto a coste” che Demna dice di voler davvero indossare.
La couture entra nello spazio domestico e affettivo: il motivo floreale del 1957, tratto dagli archivi Balenciaga, viene ricamato su un tailleur con borsa coordinata che rimanda alla tovaglia della nonna. La couture si trasforma in archivio affettivo, emozionale, domestico.
La fascinazione di Demna per Hollywood prende forma in abiti che sono pure evocazioni: la diva nera ispirata a Marilyn, una princess dress rosa in organza così leggera da apparire irreale, Kim Kardashian che indossa un cappotto effetto visone di piume ricamate, in una reincarnazione moderna di Elizabeth Taylor con orecchini originali prestati da Lorraine Schwartz.
l punto più radicale della collezione è la sua idea di couture come relazione dinamica tra corpo e abito. Nove completi, “one-size-fits-all”, pensati per adattarsi al corpo—qualunque esso sia. Un bodybuilder e un modello indossano lo stesso abito: il primo lo trasforma in corazza, il secondo in drappeggio fluido. Demna cede il controllo totale: è il corpo che definisce l’abito, non viceversa.
I dettagli raccontano con poesia un’intera visione del mondo: i ventagli Duvelleroy, ricreati con attenzione filologica da archivi ottocenteschi, fondono tecnologia e artigianato in un silenzioso tributo al passato. Le sneaker couture, costruite con tecniche tradizionali, mantengono viva la manualità degli atelier. Le borse rinunciano al logo e adottano il nome personale di chi le porta, mentre i fiori prendono vita dai ritagli dimenticati sul pavimento dell’atelier.
E poi, Eliza. Chiude la sfilata in un abito scultoreo in pizzo guipure, costruito come se fosse un cappello. Demna non firma la sua uscita con l’enfasi del gran finale, ma con la nitidezza di chi ha già detto tutto. Non serve proclamare la sua couture “storica” per riconoscerne la portata.
