Lussi estremi e visioni di futuro: è la haute couture
moda e stile

2026-05-11 19:50:45
Al suo gran finale, l’
alta moda parigina
si conferma un magnifico Grand Hotel di lussi estremi, dove arrivi sfarzosi e partenze affascinanti, ma anche malinconiche, si susseguono in un vortice di emozioni. Si è visto il debutto di
Glenn Martens
, già alla guida di Diesel, che ha assunto la direzione creativa di
Maison Margiela
con la sua collezione sartoriale Artisanal. A giudicare dai modelli mostrati, questa collezione è destinata a fare clamore: esplosiva e “forte”, grazie alla fusione di elementi contrastanti come crudezza e ricchezza, brutalismo e opulenza, controllo e stravaganza, tristezza e gioia, il tutto racchiuso in silhouette potenti. Martens subentra al geniale John Galliano, che si spera si imbarchi verso nuovi e fortunati orizzonti, con voci che lo vedrebbero finalmente lanciare la sua linea eponima.
Nel raccogliere l’eredità incandescente di due titani come Galliano e Margiela, Glenn Martens ha compiuto un atto di elegante incoscienza: serviva uno che sapesse danzare sull’orlo della tradizione senza cadere nel déjà-vu, qualcuno capace di trattare con leggerezza sacrale una storia che per molti è intoccabile. Belga come il fondatore, ma figlio di una Bruges plumbea e severa, Martens ha portato con sé il silenzio gotico delle Fiandre e una visione personale del sublime decadente. Una processione d’ombre e visioni: presenze liturgiche, in diretta nell’immaginario medievale, ci hanno guardato come presagi di un tempo sospeso tra rovina e bellezza. E poi, abiti in velluto metallico colavano sulle modelle come stalattiti teatrali, maschere in metallo erano sigillate sui volti, vecchie giacche da biker — reliquie della casa — tornavano in scena nascoste sotto collage cartacei da tappezzeria barocca. Martens non cita: evoca. E lo fa con la mano ferma di chi sa che la reverenza, in moda, non basta. Bisogna essere anche un po’ iconoclasti.
A Parigi si è consumato anche un commiato significativo: quello di
Demna Gvasalia
, che da settembre capitanerà Gucci, dalla direzione di
Balenciaga
. La sua sfilata d’addio è stata un mix di sentimentalismo e mordacia. Come colonna sonora, solo i nomi delle persone a lui più care in questi anni di lavoro, con il sottofondo della canzone No Ordinary Love di Sade. In un’atmosfera da salon privé, oltre ai suoi modelli bizzarri e peculiari, erano presenti amiche affezionate come Isabelle Huppert e Kim Kardashian. La prima indossava un ensemble esistenzialista di pantaloni e blusa con collo rigido, simile a una regina cattiva di Biancaneve, mentre la seconda, truccata come un clone di Liz Taylor, sfoggiava un abito sottoveste sotto una “pelliccia” ricavata da migliaia di piume ricamate e cucite a mano, con gioielli che erano autentici pezzi di Liz Taylor, donati a Kim da Richard Burton. I tratti distintivi di Demna sono tornati e si sono affermati: silhouette esageratamente ingigantite, l’ironia dell’abito maschile “taglia unica” modellato da un sarto napoletano sull’anatomia di un gigantesco bodybuilder, il logo rimpiazzato dal nome della proprietaria, un materiale “povero” come il velluto millecoste ricreato da striscioline di tessuto, e, naturalmente, le prime sneakers Balenciaga fatte a mano. Il défilé è una dedica, il congedo di un maestro che lascia il suo teatro, tra applausi e commozione, culminato con la prima apparizione in passerella in felpa e cappuccio alzato.
Nel Grand Hotel della Couture, tra un check-out (Demna) e un check-in (Martens), c’è anche una riunione a sorpresa: in una conferenza stampa mattutina ha rivelato che nel marzo 2026 il V&A aprirà le sue sale per “
Schiaparelli
: Fashion Becomes Art”. Sarà la prima mostra inglese dedicata all’inventiva della stilista, dagli anni Venti fino ad oggi, sotto la guida di Daniel Roseberry. Oltre 200 pezzi, tra cui abiti emblematici come lo Skeleton e il Tears, accessori surrealisti (incluso il celebre cappello a scarpa rovesciata), fotografie, gioielli e materiali d’archivio racconteranno la figura di una stilista che trasformava il quotidiano in meraviglia.
E allora, tra show da palcoscenico e quesiti del tipo “ma chi mai se li metterà?”, resta la domanda: la couture è l’ultimo baluardo della cultura, caposaldo di artigiani visionari? Oppure è diventata l’ultimo scintillante giocattolo del lusso, un’illusione che si autocelebra in un Grand Hotel dove tutto è spettacolo? Forse entrambe le cose e nessuna. Questa atmosfera è toccante proprio per l’equilibrio miracoloso fra il tragico e il comico.
