Ombre di censura nei giornali penitenziari: L’Ordine dei giornalisti reagisce
notizia

2026-05-03 01:47:57
«Ci stanno chiudendo anche la bocca». È questo l’allarme che arriva da diverse redazioni giornalistiche. Non dagli uffici con sede e insegna ben visibile in città, come potrebbe essere questa da cui scriviamo, bensì da quelli che si trovano oltre le sbarre in decine di penitenziari italiani. Il giornalismo in carcere ha una lunga storia, cominciata all’inizio degli anni Cinquanta, sia per dare voce ai detenuti sia per informare chi sta fuori della quotidianità in cella spesso ignorata dai grandi media. Oggi, però, sui giornali dal carcere cala un’ombra nera. Almeno a detta dei detenuti stessi, dei volontari che vi lavorano e del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti che nella seduta di mercoledì ha approvato un apposito ordine del giorno che suona come un allarme. «Il carcere in Italia – recita l’Ordine – rischia di allontanarsi dai principi costituzionali e dalla legislazione.
Il Coordinamento dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione sulle pene e sul carcere di recente ha denunciato diversi episodi di ostacoli che sono stati frapposti all’attività dei laboratori di scrittura nelle carceri finalizzata alla pubblicazione di periodici
realizzati dalle persone private della libertà».
Nel concreto i casi segnalati arrivano dalla casa di reclusione di Rebibbia, a Roma, dove si pubblica il giornale “Non tutti sanno”. Da un giorno all’altro la direzione del penitenziario ha
obbligato i redattori detenuti a fare richiesta di un’autorizzazione per potere firmare gli articoli con nome e cognome e solo recentemente il diritto alla firma, completa ed estesa, è stato riconosciuto.
A Lodi la direzione della casa circondariale pretende una lettura preventiva dei testi elaborati dalla redazione di “Altre storie” – che vengono poi pubblicati dal quotidiano della città Il Cittadino – e di entrare nel merito della scelta degli argomenti da trattare,
vietando temi come l’immigrazione
o il diritto alla sessualità in carcere.
Nella casa circondariale di
Ivrea il giornale “La Fenice”
, edito dall’Associazione Rosse Torri,
è stato sospeso per mesi e a giugno chiuso definitivamente
per volontà della direzione che ha annullato il progetto, controllato e bloccato i computer e sospeso l’autorizzazione all’ingresso in carcere ai volontari che gestivano il laboratorio. La motivazione? Secondo quanto trapela, generiche critiche ai volontari che collaborano con i detenuti alla gestione del giornale che, però, recentemente aveva scritto di celle fatiscenti, sovraffollamento, mancanza di acqua calda, griglie alle finestre e muffe alle pareti. Più o meno lo stesso è accaduto a
Trento
dove si pubblica il giornale “Non solo dentro”:
il direttore responsabile, volontario da oltre dieci anni, è stato messo alla porta
dopo l’uscita di pezzi che evidenziavano criticità della realtà penitenziaria locale.
Non solo. Il Coordinamento dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione sulle pene e sul carcere guidato da Ornella Favero, referente del più storico giornale dal carcere “Ristretti Orizzonti”, ha denunciato in una lettera aperta le lungaggini che le redazioni dei penitenziari devono affrontare per ottenere permessi di ingresso per materiali giornalistici o intervistati significativi. Inoltre – secondo il Coordinamento – si è diffusa la tendenza di
impedire l’uso di registratori, macchine fotografiche e Internet
, persino se in presenza di operatori volontari e nonostante una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del 2015 preveda espressamente la possibilità e il valore dell’uso degli strumenti informatici da parte dei ristretti.
Divieti di firmare gli articoli, censure preventive, lentezze e ostacoli tecnici, espulsioni di volontarie, sospensioni giustificate come “questioni burocratiche” sembrano essere i metodi più comuni per sopire o proprio spegnere progetti nati per dare voce ai detenuti e spazio a storie scomode che si preferirebbe non far uscire.
Per l’Ordine dei giornalisti si tratta di una lesione dei diritti delle persone private della libertà che, oltre all’articolo 21 della Costituzione che stabilisce per tutti il diritto di manifestare il proprio pensiero, sono tutelati anche dall’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario che prevede la libertà di informazione e di espressione dei ristretti «anche usando gli strumenti di comunicazione disponibili e previsti dal regolamento». Perciò il Consiglio promette di vigilare sulla questione e chiede al ministro della Giustizia e al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di «adottare gli opportuni interventi per
garantire il pieno diritto alla libera informazione delle persone detenute che partecipano alle attività delle redazioni
, coscienti anche della finalità rieducativa che le stesse svolgono in una prospettiva costituzionalmente orientata della pena».
