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Perché tutti indossano il bianco a Wimbledon

sport

2025-12-04 04:45:00

Wimbledon non è soltanto tennis.

Wimbledon
è soprattutto tradizione

. Da quando è stato disputato il primo torneo, nel lontano 1877, a Church Road

l’atmosfera è cambiata pochissimo

. Per chi scende in campo, il bianco non è un’opzione estetica, ma una regola ferrea, una forma di rispetto verso una storia che sopravvive immutata da quasi un secolo e mezzo.

Ma perché proprio il bianco?

La risposta è più semplice e pratica di quanto si possa immaginare. Nell’Inghilterra vittoriana, da cui provengono le radici del tennis moderno, la scelta del colore degli abiti non aveva a che fare con
l’eleganza o lo stile
, ma con il decoro. L’obiettivo era evitare a ogni costo che si vedessero macchie di sudore: il bianco, infatti, era il colore che nascondeva meglio l’umidità sulla stoffa. Ecco perché i primi giocatori che si sfidavano sui prati inglesi iniziarono a preferire questa tinta, diventata rapidamente sinonimo di purezza e compostezza.


Le regole degli outfit a Wimbledon

Dal 1963, però,

quella consuetudine è diventata una regola formale

, scritta nero su bianco – o meglio, bianco su bianco – nel regolamento ufficiale di
Wimbledon
. Oggi il dress code, in effetti, ha raggiunto

livelli estremi di rigidità

: non è ammessa alcuna eccezione per colori diversi, se non per piccoli dettagli che non devono superare i 10 millimetri di spessore. Persino le scarpe devono essere completamente bianche, suole comprese. Celebre l’episodio del 2013, quando persino

Roger Federer

fu costretto a cambiare le sue scarpe perché avevano la suola arancione. E non è l’unico:

Venus Williams

ha dovuto sostituire i suoi indumenti intimi per dettagli rosa ritenuti inappropriati. Nel 2017, l’arbitro ha fatto addirittura cambiare una fascia elastica blu, perché era in contrasto con il rigore estetico del torneo.


I boicottaggi dei ribelli

Anche i campioni più eversivi hanno dovuto piegarsi a questa imposizione.

Andre Agass
i

, famoso per il suo stile appariscente e coloratissimo, si ribellò apertamente alla regola del bianco boicottando Wimbledon tra il 1988 e il 1990, proprio perché non poteva esprimere liberamente la sua personalità attraverso gli abiti. Non è stato l’unico: personaggi come

Gussie Moran

, che scandalizzò Wimbledon con i suoi shorts in pizzo, e il designer

Ted Tinling

, spesso censurato per i suoi abiti innovativi, hanno provato a sfidare questo rigoroso dogma, pagando il prezzo della censura e del divieto.

Negli ultimi anni il torneo è stato oggetto di alcune critiche, soprattutto perché il regolamento,

considerato anacronistico da molti giocatori e commentatori

, non teneva conto delle esigenze di alcune atlete. Nel 2023, in seguito a lunghe pressioni delle giocatrici, il torneo ha fatto una

prima apertura storica

, permettendo l’uso di shorts scuri sotto la gonna per venire incontro alle esigenze fisiologiche delle donne. Un cambiamento minimo, forse, ma comunque rivoluzionario per un torneo che difficilmente modifica le sue regole.


La regola del bianco a Wimbledon ha ancora senso?

Il bianco resta comunque il tratto distintivo per eccellenza del Championships. A Wimbledon non si vince solo con il gioco,

si vince con la capacità di rispettare una tradizione quasi religiosa

. È un test di appartenenza, quasi una forma di accettazione di uno status speciale: chi gioca a Wimbledon deve dimostrare di essere in grado di adeguarsi al codice senza discuterlo. Così, ancora oggi,
entrare sul campo di Wimbledon
vestiti rigorosamente di bianco

significa entrare nella storia

. Non si tratta più di nascondere il sudore, né semplicemente di mantenere il decoro vittoriano. È diventato un simbolo: il segno tangibile di rispetto verso la tradizione, ma anche una

sfida continua tra il passato e la modernità

, che passa anche e soprattutto dal colore degli abiti che si indossano. A Wimbledon non importa chi sei, da dove vieni, o quanti titoli hai vinto. L’unica cosa che conta davvero è presentarsi vestiti rigorosamente di bianco, come impone la storia.

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