Un confronto con Alain Mikli, l’anti-designer dell’occhiale
progetto

2026-06-15 20:01:57
“Non comprate i miei occhiali.” È così che ci accoglie
Alain Mikli
, leggenda dell’eyewear, nel suo pop-up store nel cuore artistico di Brera, aperto dal 23 giugno al 6 luglio. Poi sorride e aggiunge: “Li amo, è questo il punto.” E in fondo, come dargli torto? Dal 1978 Mikli non disegna semplici montature, ma maschere per trasformarsi, accessori capaci di ribaltare un volto. Le sue creazioni non sono gentili: sono sfacciate, seduttive, eccessive. Ed è proprio lì che si rivela la sua essenza, nel cortocircuito tra provocazione e precisione, tra ironia e identità. Il designer francese ama definirli “protesi per i quasi ciechi” o “gioielli per gli occhi”, ma in realtà sono strumenti per vedere – e per farsi vedere – diversamente. Ne abbiamo parlato con lui.
Cosa ti ha attratto inizialmente nel design di occhiali – e cosa ti motiva ancora oggi?
“È la passione di “vestire gli occhi” delle persone, costruire un volto, una personalità. Un piccolo accessorio che cambia completamente la vita di chi lo indossa, meglio di un intervento chirurgico! Amo giocare con chi siamo, chi vorremmo essere.”
Hai lavorato con materiali come bio-acetato, stampa 3D, corno naturale con tecnologia NFC… Cosa ti affascina nei materiali? È un’esperienza tattile o ti colpisce la loro capacità di trasformazione?
“Amo l’acetato italiano, è sensuale e caldo, ma anche difficile da lavorare. Adoro la stampa 3D, che è libertà assoluta. Ogni materiale è come un ingrediente per uno chef: bisogna amarlo, capirlo, dominarlo per creare qualcosa di speciale.”
Nell’era digitale di oggi, come vedi il rapporto tra tecnologia e artigianalità nell’occhialeria?
“È naturale evoluzione. La tecnologia porta innovazione e nuove possibilità, mixando reale e virtuale. È importante saperla usare bene.”
Hai un pezzo preferito nelle tue collezioni?
“No, sono orgoglioso di ogni design, non potrei sceglierne uno. Sono come figli per me: tutti sono speciali, ma sono già proiettato avanti, verso le prossime idee.”
Da cosa trai ispirazione?
“Donne. Scherzo, sono francese! Amo il vino e le donne. Ma l’ispirazione arriva ovunque: nella vita quotidiana, nelle strade, nella luce al tramonto. Amo viaggiare e incontrare chi indossa i miei occhiali.”
Secondo te, cosa racconta un paio di occhiali su chi li indossa?
“Molto, dipende se l’indossi per piacere o per obbligo. Deve essere comoda e far sorridere. Cambia la personalità di chi la porta: basta un dettaglio per diventare qualcun altro.”
Guardando indietro al tuo percorso, qual’è stata secondo te la scelta più audace che hai fatto nel mondo dell’eyewear?
“Aver smesso di lavorare in Europa per dieci anni, essermi preso una pausa. Perchè mi ha permesso di essere richiamato da Essilor Luxottica, una sorpresa enorme, inaspettata. Un ritorno felice, che mi ha ridato l’opportunità di realizzare ciò che in passato non ero riuscito a fare. Ho ancora tanti sogni, e non so se sia pericoloso realizzarli tutti — forse sì — ma è proprio questa la mia sfida: portare avanti le idee che ho in mente, creare, innovare, cambiare il modo in cui si presenta un prodotto, rivoluzionare certe regole del gioco.”
Pericoloso?
“Perché senza nuovi sogni, non c’è vita. I sogni ti spingono avanti, verso il futuro. Il passato non puoi cambiarlo, quindi meglio guardare avanti.”
E ora qual è il tuo sogno più grande?
“Trasmettere il mio sapere. Insegnare ai giovani designer come creare, capire, amare questo mestiere. È la mia sfida più bella.”
